Notule
(A cura di LORENZO L. BORGIA & ROBERTO COLONNA)
NOTE
E NOTIZIE - Anno XXII – 08 febbraio 2025.
Testi pubblicati sul sito www.brainmindlife.org
della Società Nazionale di Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del
testo: BREVI INFORMAZIONI]
Scoperti nuovi attivatori AMPK
attraverso screening virtuale e sintesi SAR-guidata.
AMPK è un promettente bersaglio per la malattia di Alzheimer e varie patologie
croniche, Kyung-Hwa e colleghi hanno provato a sviluppare piccole molecole che
direttamente l’attivano per contrastare i meccanismi patogenetici. Da 100.000
composti ne hanno selezionati 118 in base all’attività AMPK. I successivi
passaggi sperimentali hanno consentito di identificare un composto preminente,
B1. Dai nuovi composti calcone-derivati sintetizzati, i ricercatori hanno
scoperto il composto 6 quale candidato ideale. Il composto 6 ha
presentato le interazioni più efficienti con i residui chiave di AMPK negli
studi in silico e ha dimostrato una
significativa attivazione di AMPK in vitro e in saggi cellulari. [Cfr.
Eur J Med Chem – AOP doi: 10.1016/j.ejmech.2025.117318,
2025].
Ictus: Streptococcus
anginosus aumenta il rischio del 20% ma l’igiene
orale può aiutare. L’International Stroke Conference
2025 organizzata dall’American Stroke Association (ASA) si è tenuta a
Los Angeles in questi giorni, dal 5 al 7 febbraio. Suichi
Tonomura del National Cerebral
and Cardiovascular Center di Osaka (Giappone) e
colleghi hanno presentato un interessantissimo studio che ha reperito, nella
saliva e nell’intestino di volontari affetti da ictus in un campione di 189
pazienti e 55 sani di controllo, alti livelli di Streptococcus
anginosus, che faceva aumentare il rischio ictale del 20% e condizionava esiti più negativi.
Per contro, sono state identificate
specie associate a ridotto rischio e, quindi, considerate protettive: Anaerostipes hadrus
e Bacteroides plebeius.
Gli autori dello studio osservano che una scarsa igiene orale può contribuire
all’infiammazione aumentando la suscettibilità all’evento cerebrovascolare
acuto. [Fonte: Karen Astle from ASA International
Stroke Conference 2025].
Il ruolo del giro dentato dell’ippocampo
nella memoria spaziale e nella cognizione. Chen e
colleghi, hanno studiato un topo privo di giro dentato, quale modello di
ipoplasia di questa formazione che, col bulbo olfattivo e la parete
ventricolare, è una delle tre sedi di neurogenesi adulta. La mancanza del giro
dentato causava alterazioni nella rappresentazione dello spazio in CA1,
compromettendo la capacità dei roditori di distinguere in modo efficace
contesti diversi. Da questa e altre evidenze, si deduce il ruolo chiave del
giro dentato nel sostenere stabilità e abilità nella discriminazione di
contesto dei neuroni di CA1, e dunque nella memoria spaziale e nella cognizione.
[Cfr. PNAS USA – AOP doi: 10.1073/pnas.2416214121, 2025].
La guarigione dalla dipendenza avviene
per eliminazione o formazione di circuiti? La vecchia
diatriba tra sostenitori della necessità di cancellare le memorie di
associazione del circuito a ricompensa e sostenitori della necessità di formare
nuove memorie per trattare la tossicodipendenza non è ancora risolta. Anche se
i potenti composti capaci di alterare la funzione dei recettori NMDA per
“cancellare la memoria” sono stati accantonati, vi sono tanti studi che
dimostrano l’importanza di eliminare certe connessioni e tanti altri che
dimostrano la necessità di crearne di nuove. Michel Engeln
e Serge H. Ahmed hanno fatto il punto delle conoscenze con una rassegna
esaustiva dei maggiori studi. Gli autori concludono che la remissione dello
stato di tossicodipendenza può essere guidata dall’introduzione di nuovi cambiamenti
neuronici che superano quelli indotti dalla sostanza di abuso, ma anche dalla
cancellazione dei cambi indotti dalle droghe. [Cfr. Nature Reviews Neuroscience – AOP doi:
10.1038/s41583-024-00886-y, 2025].
I babbuini in Namibia non si riconoscono
allo specchio a differenza di scimpanzé e oranghi.
Lo studio della coscienza negli animali ha sempre grande fascino e grande
seguito. Si ritiene che la capacità di riconoscersi allo specchio dei primati
costituisca una prova di consapevolezza di sé, ma in realtà solo in alcune
specie di grandi scimmie (scimpanzé, bonobo, gorilla, orango) vi sono stati
studi che hanno dimostrato il possesso di questa capacità in molti esemplari.
Un esperimento classico costituiva nel macchiare con un colore non tossico il pelo
intorno alla testa delle scimmie mentre dormivano, e poi vedere se al
risveglio, guardandosi allo specchio, avessero reagito. Il cercare, da parte di
alcune, di togliersi il colore con le mani mentre si guardavano allo specchio,
ha indotto a ritenere che avessero consapevolezza del sé corporeo. Ora gli
esperimenti si conducono con luci laser, ma la sostanza è la stessa.
Uno studio di antropologia
evoluzionistica di un team facente capo allo University College di Londra
ha rilevato che i babbuini della Namibia non reagiscono alle macchioline laser
sul loro viso mentre si guardano allo specchio, anche se sono affascinati dalla
riflessione del mondo circostante. Si dovrebbe concludere che i babbuini non
hanno consapevolezza di sé, ma rimangono molti dubbi. Le nostre maggiori
perplessità sono sulla significatività di questo test (mark
test): hanno superato la prova elefanti asiatici, delfini e un pesce che
sembra riconoscersi allo specchio, e della cui capacità di riconoscimento
abbiamo scritto in queste notule dal 2023 fino a tempi recenti. [Cfr. Proceedings of the Royal Society of London B
292(2039):20241933, Jan. 2025].
Lo scimpanzé pigmeo si accorge quando
l’uomo manca di informazione e vi provvede. Un’abilità
ritenuta unicamente umana, ossia quella di intuire l’ignoranza dell’altro e
dargli l’informazione, è stata dimostrata da un team della Johns Hopkins
University nel bonobo, lo scimpanzé pigmeo (Pan paniscus). [Cfr. PNAS
– AOP doi: 10.1073/pnas.2412450122, 2025].
Uno strano pesce (Oryzias
latipes) ha stabilito un record nel comportamento
sessuale. L’ Oryzias latipes, pesciolino di acqua dolce e salmastra
dell’Est Asiatico noto agli acquariofili per l’occhio grande e per la pinna
dorsale che, invece di essere nel mezzo del dorso, è spostata vicino alla coda,
vive in acque lente o paludose, ed è detto medaka
o pesce del riso perché spesso trovato nelle risaie. Era noto il
comportamento riproduttivo estremamente attivo dei maschi, per una particolare
memoria specie-specifica, ma non si conoscevano queste possibilità. Un nuovo
studio pubblicato su Royal Society Open Science ha registrato una media
di 19 copule al giorno nel periodo riproduttivo (da aprile a settembre), ma
soprattutto ha rilevato che alcuni esemplari raggiungono il limite di 27
accoppiamenti in una giornata. Progressivamente la quantità di cellule
germinali nel liquido si riduce ma, in termini di vantaggio evoluzionistico
riproduttivo, è stata sufficiente a permettere lo sviluppo di questo comportamento
record. [Fonte: Jess Thomson from Royal Society Open Science, Jan. 2025].
Nel polpo bimaculato
della California scoperto uno dei più antichi cromosomi sessuali.
Avrebbe circa 480 milioni di anni un cromosoma sessuale identificato nel polpo
californiano Octopus bimaculoides, in quanto
risale a prima della separazione evolutiva dal nautilus,
costituendo uno dei più antichi cromosomi sessuali noti. La ricerca è stata
condotta presso l’Università dell’Oregon. [Cfr. Current
Biology – AOP doi: 10.1016/j.cub.2025.01.005, 2025].
Scoperto il più antico spartito di
musica scozzese: smentisce vecchie idee sugli Scozzesi.
L’idea che gli Scozzesi prima dell’epoca della Riforma protestante e della
Controriforma fossero arretrati, poco evoluti in termini culturali e spirituali
per scarsa istruzione e mancanza di esercizio cognitivo nel coltivare le arti e
le vette filosofiche della morale, deve essere definitivamente abbandonata. La
scoperta è stata fatta in uno dei primi testi completamente a stampa della
storia scozzese, l’Aberdeen Breviary of 1510: in
una pagina costituente parte integrante del testo ma vergata a mano c’era uno
spartito in due righi – il secondo esteso per metà della lunghezza del primo –
che inizialmente aveva fatto pensare a musica scritta da qualche sconosciuto e
improvvisato musico, secondo lo stereotipo inglese dello scozzese poco colto. David
Coney dell’Edinburgh College of Art ha
poi scoperto che si tratta di parte della scrittura polifonica di un canto
gregoriano, il farburden: un’armonizzazione
musicale unica per tre o quattro voci dell’inno Cultor Dei.
La scoperta ha irradiato di nuova luce
la storia della cultura scozzese di quel periodo, rivalutando le sue istituzioni
religiose di 500 anni fa, sminuite e derise nei secoli seguenti dalla
propaganda anglicana, che trovava sponda nel clero protestante del continente
europeo. In realtà, l’Aberdeen Breviary,
raccolta di salmi, inni, canti, preghiere e saggi, che prevedeva questo canto
nelle preghiere del mattino della St Mary’s Chapel e della
Cattedrale di Aberdeen, era stato realizzato per iniziativa dello stesso Re
Giacomo IV, che evidentemente conosceva la grande tradizione culturale e
musicale della Chiesa scozzese. [Fonti:
University of Edinburgh;
Journal of Music and Letters, BM&L-International, 2005].
La mente degli amanuensi: una finestra
su alcune realtà misteriose della vita medievale (seconda e ultima parte).
La prima
parte è stata pubblicata con le “Notule” della scorsa settimana; si suggerisce
di riprenderne la lettura anche a coloro che l’abbiano letta per aver presente
il filo delle riflessioni sulla figura dell’amanuense.
Per cercare di entrare un po’ nella
mente dell’amanuense, proviamo a immaginarci isolati con rotoli da copiare,
pergamene da scrivere e strumenti di scrittura, impegnati nell’esercizio
spirituale del silenzio e con la mente inevitabilmente rivolta al lettore
futuro, al destinatario di tutta la fatica compiuta senza compenso, per dovere
cristiano di mettere a frutto un talento secondo la volontà divina. È evidente
da tutte le tracce del proprio pensiero lasciate da questi straordinari scribi
medievali quanto fosse continua e importante la presenza del lettore nella
dimensione immaginaria della loro coscienza: è il soggetto futuro che compie il
senso del presente, in chi al valore sociale del presente sembra aver
rinunciato quasi del tutto, ed è un termine medio tra la realtà attuale e il destinatario
unico e ultimo a cui si presenta nel segreto tutta la propria vita.
Gli amanuensi si intrattengono con gli
ipotetici lettori, parlano in mente con loro, si giustificano, spiegano il
perché delle scelte che hanno compiuto, dove il testo è perduto, dove c’è una
parola inintelligibile o intraducibile, spiegano loro come “sentano” l’autore,
vivendo quotidianamente e per tanti giorni della propria vita in sua compagnia.
Il lettore immaginario è come un interlocutore assente fisicamente ma sempre
presente alla coscienza, o vi rimane prossimo, appena un po’ in disparte,
quando l’attenzione consapevole è concentrata su difficoltà del lavoro o sulla
comprensione del testo. Per questa figura presente nella dimensione
immaginaria, a cui ci si rivolge ma che non può rispondere, Edouard Pichon[1]
coniò una nuova parola: allocutore.
Tutti noi facciamo esperienza di momenti
in cui abbiamo come allocutore mentale una persona in quel momento non
presente, e allocuzione è nell’esperienza spirituale la stessa preghiera, ma
nessuno oggi vive come gli amanuensi costantemente rivolto a un allocutore
ipotetico che, almeno in parte, finiva per surrogare la normale esperienza di
interazione sociale, che era tanto carente. Mentre noi abbiamo un presente
costantemente rinnovato e generalmente ricco di interlocutori sociali, che si
interpone fra l’istante vissuto e la fine della vita, assorbendo spesso tutta
la nostra attenzione, per l’amanuense il principale se non l’unico elemento fra
il presente e la morte era l’allocutore.
La figura professionale dell’amanuense
ebbe nei secoli un’evoluzione, passando dall’essere l’unica esecutrice di tutto
il lavoro che portava alla realizzazione del codex o libro,
all’essere affiancata da specialisti quali miniatori, pittori, correttori,
rubricatori e rilegatori. Per quanto abbiamo cercato in opere classiche e
recenti, non siamo riusciti a trovare l’indicazione di un riferimento temporale
che consentisse di riconoscere una linea di demarcazione epocale; questo
evidentemente perché in alcune tradizioni monastiche si era presto sviluppata e
conservata questa specializzazione, in altre si procedeva con singoli
amanuensi, sia perché questi possedevano tutte le conoscenze e le abilità per
portare a termine l’intera realizzazione del libro, sia per necessità, ovvero
per difetto nel numero di monaci in quel monastero.
Un evento che si verificò nell’VIII
secolo rappresentò una vera rivoluzione, positiva per i lettori e negativa per
gli amanuensi: l’invenzione nell’abbazia monumentale di Corbie[2], nell’estremo
nord della Francia, di un nuovo carattere – già molto simile a quello qui usato
per questo scritto – che si leggeva a colpo d’occhio per la forte
caratterizzazione delle singole lettere, ma che richiedeva un lavoro molto più
impegnativo rispetto al carattere allora adoperato, spesso nella versione
corsiva, che inclinava semplificando ulteriormente i grafemi in tondo. Leggiamo
in proposito Michel Rouche: “Quando a Corbie, alla
fine dell’VIII secolo, fu inventata la minuscola carolina, questo carattere
così facile da leggersi (l’attuale «romano»), destinato a diventare universale,
dovette essere scritto calligraficamente e non più di getto come la corsiva
rapida dei Merovingi. Questa rivoluzione accrebbe lo strazio degli amanuensi.
Un mestiere faticoso, stando alle parole di uno di essi: «[…] appanna la vista,
fa diventare gobbi, incava il petto e il ventre, danneggia i reni. Tutto il
corpo viene messo a dura prova. Perciò, o lettore, sii delicato e non mettere
le dita sulle lettere»[3].
Questa raccomandazione dell’amanuense ci
rende immediatamente evidente quanto fosse presente l’allocutore nel faticoso
lavoro, che rischiava di essere vanificato dallo strisciare inopportuno del
polpastrello, per un maldestro tenere il segno di un lettore superficiale. Si
lavorava nella consapevolezza di consegnare ai secoli venturi quel lavoro, ma
si era coscienti e preoccupati di quanto fosse vulnerabile la scrittura a
inchiostro su pergamena. È noto che col vecchio carattere merovingio si
riusciva in un solo anno a copiare la Bibbia intera, ma in molti altri conventi
d’Europa erano richiesti più anni per una tale impresa. Non è esagerato dire
che la minuscola carolina ha rappresentato la base calligrafica della memoria
storica della cultura occidentale: grazie agli amanuensi carolingi ci sono
giunti più di ottomila manoscritti, fra cui le opere della quasi totalità degli
autori antichi a noi noti[4].
L’assoluta fedeltà al testo, era un
vincolo morale inderogabile rispettato da tutti gli amanuensi come obbligo di
verità. Leggiamo ancora Michel Rouche: “A che pensavano, che immaginavano
questi amanuensi quando copiavano un testo pagano che talvolta ritenevano
menzognero, talvolta licenzioso o indecente? Cominciamo col dire che essi non
operarono mai alcuna forma di selezione o censura: la loro fedeltà al testo era
assoluta. Pochi fra di loro ci hanno lasciato le loro impressioni. Solo Rosvit, monaca a Gandersheim,
autrice nel X secolo di commedie di tipo terenziano, ci
confessa che certe espressioni del suo modello la fanno arrossire, anche dopo
essere state trascritte fuori dal loro originario contesto osceno. Ma da tutti
gli altri nessuna informazione al riguardo. Come sottolinea dom
Leclerq «resta un alone di mistero che è meglio
rispettare»”[5].
L’idea, molto diffusa oggi, che gli
amanuensi fossero persone prive di personalità perché autori di copie fedeli e
pedisseque, ci appare erronea non solo nella sua generalizzazione, ma anche per
altri aspetti. Si può innanzitutto criticare l’idea stessa che l’essere
rigorosi in un lavoro di copia sia indice di mancanza di personalità, in quanto
non si trattava di una libera scelta ma, come abbiamo sottolineato, era un
obbligo deontologico a fondamento spirituale, secondo l’etica cristiana
dell’onestà intesa come rispetto della verità. Poi si può osservare che, se per
“personalità” si intende il possesso di creatività, gusto artistico e capacità
di distinguersi, allora occorre sapere che gli amanuensi avevano modo di
esprimere la propria personalità, oltre che nelle scelte di disegno e pittura
delle decorazioni quando erano gli unici esecutori del lavoro, nella
realizzazione della copertina, che rappresentava un esercizio di abilità,
fantasia e gusto personale. Abbiamo usato qui il termine “copertina” per farci
intendere, ma è opportuno ricordare che si trattava di una struttura in legno
rivestita di pelle d’animale, talvolta con anima metallica, la cui superficie
poteva essere realizzata con le tecniche di alcune arti minori, quali quella
del cesello, dell’intarsio, del mosaico o della scultura orafa.
Si ha notizia che in alcuni casi, in
monasteri importanti dopo l’VIII secolo, l’amanuense, oltre a copiare il testo
sui fogli di pergamena, agiva come il regista di un team di artigiani,
che intervenivano ciascuno per la propria competenza per realizzare e
completare quelle opere straordinarie che ancora oggi ammiriamo con rispetto.
Alcuni codici e trascrizioni della Bibbia, con l’aiuto economico di reali e
nobili con la passione per il sapere, venivano rifiniti all’esterno con i modi
e il gusto dei decoratori di oggetti sacri.
Michel Rouche ha cercato di dedurre il
valore venale di quelle opere dai materiali adottati: “Un libro costava
parecchio caro. Visto che un montone forniva la pergamena necessaria per
quattro fogli, per ogni copia delle opere di Cicerone o di Seneca era
necessario un intero gregge. La rilegatura e la decorazione dei piatti di
copertina erano spesso veri e propri lavori di oreficeria ad incastro, con
borchie di pietre preziose, che finivano per apparentare il libro a un
reliquiario. In questo modo il culto del bello sfociava in un’autentica
sacralizzazione del libro, l’interlocutore più degno della vita privata di un
letterato dell’Alto Medioevo”[6].
Era, infatti, spesso presente alla mente
dell’amanuense un homo litteratus quale
lettore, anche se sapeva che in molti casi i primi, se non gli unici lettori,
sarebbero stati i confratelli. Ma non ci trova troppo d’accordo l’espressione
“culto del bello”, sicuramente inadeguata per dei religiosi che il culto lo
dedicavano solo a Dio e ai suoi intercessori, e fuggivano ogni forma di idolatria
e vanità, mentre ci sembra efficacemente appropriata l’espressione
“sacralizzazione del libro” impiegata da Michel Rouche, sia perché
l’impreziosire quegli enormi volumi era cominciato con le copie della Bibbia,
sia perché gli amanuensi, come notato da tanti storici, da Jacques Le Goff a
Fernand Braudel, insegnavano il rispetto del libro, quel rispetto riconosciuto
anche da Rouche.
A proposito del costo e del valore
venale dei codici, si tenga presente che alcuni inchiostri erano preparati con
polvere d’oro puro[7].
Gli amanuensi erano anche depositari di
segreti. Autentici: infatti non si ha notizia che fossero mai stati rivelati.
Erano tenuti nascosti fatti e fenomeni singolari, che si riteneva non avessero
spiegazione né razionale né soprannaturale, ma anche questioni che attenevano
alla vita privata di regnanti e altri potenti, e che potevano essere sfruttate
sul piano politico o militare. Ma, forse, i segreti degli amanuensi erano di
tutt’altra natura e attenevano semplicemente alla preparazione degli inchiostri
e alla lavorazione della pergamena. Qualcuno ha ipotizzato che alcuni di questi
segreti siano stati all’origine di quei saperi monastici da cui derivarono arti
cabalistiche e alchemiche dei secoli successivi. [BM&L-Italia, febbraio 2025].
Notule
BM&L-08 febbraio 2025
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La Società
Nazionale di Neuroscienze BM&L-Italia, affiliata alla International Society
of Neuroscience, è registrata presso l’Agenzia delle Entrate di Firenze,
Ufficio Firenze 1, in data 16 gennaio 2003 con codice fiscale 94098840484, come
organizzazione scientifica e culturale non-profit.
[1] Edouard Pichon (1890-1940) fu
medico, pediatra, psicoanalista e fine grammatico francese; la sua ricerca sui
rapporti tra semantica e psicologia è stata utilizzata da due generazioni di
psicoanalisti e psichiatri francesi.
[2] La maestosa chiesa-abbazia
dedicata a San Pietro Apostolo fu fondata intorno al 660 sotto il patronato dei
re Merovingi.
[3] Philippe Aries & Georges
Duby (a cura di), La Vita Privata dall’Impero Romano all’anno Mille, p.
413, Edizione CDE, Milano 1986.
[4]
Cfr. Philippe Aries & Georges Duby (a cura di), op. cit., idem.
[5] Philippe Aries & Georges Duby (a cura di), op. cit., idem.
[6] Philippe Aries & Georges Duby (a cura di), op. cit., idem.
[7] Cfr. Giorgio Raimondo Cardona, Storia
Universale della Scrittura. Edizione CDE su licenza Mondadori, Milano 1986.